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IL NATALE DEGLI INESISTENTI
La festa era arrivata, puntuale e in
pompa magna, nonostante tutto. Le televisioni, i giornali, i social e
i loro protagonisti si riempivano la bocca con fede, condivisione,
attenzione, precauzione, distanziamento, amore ma soprattutto
lockdown. Il gesuita impartiva morali. Era l'anno del grande
contagio. Le città deserte, i paesi praticamente morti da mesi. Le
luci riflettevano sul nulla e le porte erano chiuse. La gente, bada
bene la povera gente, si accontentava di un ora d'aria dando vita, a
capo chino, a meste processioni, mentre i ricchi se ne scorrazzavano
tranquilli verso le seconde case. Era Natale. E lo era anche per
Toiano, dove, almeno li, non si avvertiva il peso imposto ormai da
mesi. Vi arrivai all'ora di pranzo, mentre tutto il resto del mondo
seduto a tavola pubblicava le foto dei vari piatti. Ad accogliermi un
forte vento che fischiava tra i rami spogli degli alberi alteri che
circondano la vecchia chiesa. La strada, sfalciata di fresco, dava al
borgo l'aspetto di chi avesse indossato il vestito buono per le
grandi occasioni. Il rito si era riproposto, la tradizione era stata
rispettata. Decine di palline adornavano il paese attaccate ai muri,
alle piante o a quel che restava di finestre e porte. I loro colori
sgargianti contrastavano con i legni scorticati dal tempo, con i
mozziconi di finestre e con il nero intenso delle ombre che regnavano
indisturbate negli interni ormai ridotti ad un cumulo di macerie. Un
tempo non so come, e se, gli abitanti addobbassero Toiano, so però
che sono felici che venga fatto ora perchè, man mano che percorri
l'unica strada, sulle porte sembra di scorgere i vecchi proprietari
che con un cenno d'inchino a cappel levato ti danno il benvenuto al
Natale degli Inesistenti.